Un articolo pubblicato sulla rivista “BMC Evolutionary Biology” descrive una ricerca sull’abelia (Habelia optata), un artropode che visse nel periodo Cambriano medio, circa 505 milioni di anni fa. Si tratta di uno dei moltissimi organismi che vissero a quell’epoca i cui fossili hanno causato perplessità nei paleontologi con difficoltà nella loro classificazione. Ora Cédric Aria dell’Università di Toronto e Bernard Caron del Museo Reale dell’Ontario ritengono che fosse imparentato con gli antenati delle specie attuali del subphylum dei chelicerati.
Nel 1909 Charles Walcott scoprì i primi fossili nell’Argillite di Burgess e negli anni successivi scoprì e descrisse molte specie, tra le quali l’abelia. Si tratta di una delle specie emerse durante la cosiddetta esplosione del Cambriano, il periodo in cui avvenne la massima diversificazione di specie nella storia della vita sulla Terra ed emersero i phylum oggi esistenti. Le strane caratteristiche di molti animali ne resero difficile la classificazione, nel caso specifico fu chiaro fin dall’inizio che si trattava di un artropode ma già l’assegnazione a uno dei subphylum risultò difficoltosa.
Nel corso di un secolo, vari studi hanno tentato di classificare in modo definitivo l’abelia, a volte assieme alla Molaria spinifera, un altro artropode con caratteristiche simili scoperto anch’esso nell’Argillite di Burgess. Questa nuova ricerca si basa sull’esame di 41 esemplari in totale di cui 27 acquisiti in spedizioni guidate dal Museo Reale dell’Ontario in quell’area diventata tra le più celebri per l’abbondanza di fossili.
Gli esemplari di abelia sono stati esaminati con un microscopio stereoscopico e fotografati con varie modalità per esaltarne i dettagli, un fattore fondamentale perché si tratta di animali molto piccoli con una lunghezza attorno ai 4 centimetri di cui circa metà è costituita dalla coda. Avere un insieme di dati sulle caratteristiche dell’abelia era fondamentale per poterlo inserire in un insieme più ampio sul quale applicare una tecnica bayesiana, un metodo probabilistico per la costruzione di alberi filogenetici.
Secondo i ricercatori, l’abelia ha caratteristiche di chelicerati primitivi, con tra le altre cose appendici simili alle chelicere, appendici appuntite specializzate per la nutrizione. Anche altre strutture e in particolare la divisione del corpo in tre regioni distinte sono secondo loro simili a quelle di altri artropodi appartenenti a quel subphylum come gli scorpioni e gli scorpioni di mare.
Tuttavia, l’abelia mostra alcune caratteristiche diverse da quelle tipiche dei chelicerati. In particolare, la sua testa si era sviluppata in modo per certi versi più simile a quello di un altro gruppi di artropodi, i Mandibulata. Secondo Cédric Aria, questa specie è vicina al punto di divergenza tra Mandibulata e chelicerati.
L’abelia era un animale davvero piccolo eppure era un predatore che dava la caccia ad altri piccoli animali del Cambriano come piccoli trilobiti. La sua testa si era evoluta per quel tipo di predazione e ciò fa supporre che nel suo ecosistema vi sia stata un’evoluzione parallela con le sue prede. Si tratta di un altro indizio nella ricostruzione della storia primordiale degli artropodi.