Marte – la miniserie

Jihae durante un'esibizione nel 2010
Jihae durante un’esibizione nel 2010

Avviso. Questa recensione contiene molti spoiler sulla miniserie “Marte”!

Il 18 dicembre (il 20 dicembre in Italia) è terminata la miniserie “Marte”.

“Marte” (“Mars”) è un docudrama, in parte un documentario dedicata ai programmi spaziali con filmati d’archivio e interviste a persone coinvolte in vari modi e in parte un telefilm che racconta la storia della prima spedizione su Marte con astronauti a partire dal 2033. Le due parti sono mescolate in modo da dare una maggiore impressione di verosimiglianza agli eventi del futuro, come se fossero una continuazione di quelli della parte documentaristica.

La miniserie, che consiste di 6 episodi, è basata sul libro “How We’ll Live on Mars” di Stephen Petranek, un giornalista che ha illustrato i possibili sviluppi del programma spaziale americano e la possibilità che esseri umani vivano sul pianeta Marte entro il 2027. Quest’idea è basata su una serie di fattori che includono sviluppi tecnologici e scientifici ma anche economici perché ci sono anche aziende private che stanno cominciando ad aprire un vero e proprio mercato nello spazio che include commercio e turismo.

Alcuni mini-episodi pubblicati on line sul sito di National Geographic costituiscono un prequel intitolato “Before Mars” concentrato su Hana e Joon Seung, due gemelle tra i protagonisti di “Marte”. Un nuovo libro che accompagna la miniserie intitolato “Mars: Our Future on the Red Planet” è stato pubblicato subito dopo la trasmissione del primo episodio ed è firmato da Ron Howard, il produttore esecutivo di “Marte”, e dal giornalista Leonard David.

Il cast della parte fantascientifica di “Marte” è costituito da:

  • Ben Cotton nel ruolo di Ben Sawyer
  • Jihae (foto ©Trafficattic) nel ruolo di Hana e Joon Seung
  • Clementine Poidatz nel ruolo di Amelie Durand
  • Sammi Rotibi nel ruolo di Robert Foucault
  • Alberto Ammann nel ruolo di Javier Delgado
  • Anamaria Marinca nel ruolo di Marta Kamen
  • Olivier Martinez nel ruolo di Ed Grann

“Marte” inizia alternandosi tra i 2016 e il 2033. Nel documentario vengono mostrati filmati di missioni spaziali e soprattutto interviste a persone come il fondatore e amministratore delegato di SpaceX Elon Musk, il fondatore della X PRIZE Foundation Peter Diamandis, l’autore del romanzo “The Martian” Andy Weir, l’ingegnere aerospaziale Robert Zubrin e l’astrofisico e autore di saggi scientifici Neil deGrasse Tyson. Nel telefilm viene raccontato l’arrivo dell’astronave “Daedalus” con i primi esseri umani su Marte, non senza difficoltà.

Il primo episodio mostra subito i pregi e i difetti di “Marte”. Le interviste sono interessanti perché propongono non solo opinioni ma anche i progressi che sta facendo SpaceX nello sviluppo dei suoi razzi e delle sue navicelle spaziali direttamente dalla voce di Elon Musk. Il telefilm purtroppo mostra fin dall’inizio una tendenza a drammatizzare molto la storia e una trama che dovrebbe essere realistica a volte perde credibilità.

Il problema è al momento dell’atterraggio dell’astronave Daedalus su Marte. Qualcosa non funziona nel sistema di atterraggio e per attivare un circuito alternativo è necessario che il comandante Ben Sawyer vada fisicamente a mettere le mani nei sistemi elettronici, una situazione molto pericolosa. Infatti, la Daedalus atterra ma lontano dall’area prevista e Sawyer rimane ferito.

A quanto pare, nessuno ha previsto un piano in caso di quel tipo di emergenza. C’è una base che è stata assemblata da sistemi robotizzati ma l’unico mezzo di trasporto è una sorta di mini-bus che però non è stato progettato per trasportare tanti esseri umani. Come se non bastasse, il problema medico di Ben Sawyer non può essere trattato sull’astronave. La situazione costringe gli astronauti a viaggiare sul mini-bus finché non si guasta per l’eccesso di peso e a percorrere il resto della strada a piedi con Sawyer su una barella di fortuna.

Insomma, le prime emergenze non fanno pensare bene della competenza di chi ha progettato le attrezzature per la missione e soprattutto di chi aveva il compito di pensare alle possibili emergenze e ai possibili piani per affrontarle. Non avere fin dall’inizio almeno un mezzo di trasporto adeguato è una mancanza grave e in caso di incidente durante il viaggio un ferito sarebbe morto visto che sulla Daedalus sembrano esserci attrezzature mediche molto limitate. Sembra anche che l’astronave che ha supportato la vita degli astronauti per mesi abbia esaurito le sue risorse visto che tutti devono partire subito per il campo base e non solo le persone necessarie a trasportare Sawyer.

Tutto ciò ha come conseguenza a breve termine la morte di Ben Sawyer. Meglio consolarsi con le immagini relative alla missione di un anno compiuta dall’astronauta americano Scott Kelly sulla Stazione Spaziale Internazionale, terminata nel marzo 2016. I dati raccolti continuano a essere studiati, anche con esami successivi al ritorno di Kelly sulla Terra, per capire gli effetti a lungo termine di un periodo così lungo trascorso in microgravità. Ciò aiuta a capire cosa succederebbe agli esseri umani durante un lungo viaggio nello spazio profondo, ad esempio per raggiungere Marte.

Uno dei grandi problemi per gli astronauti su Marte è la quantità di radiazioni a cui sarebbero esposti su un pianeta privo di un campo magnetico che faccia da scudo. In generale, all’aperto le condizioni ambientali e le loro fluttuazioni rendono difficile costruire un habitat per gli esseri umani. Una soluzione è sfruttare i tunnel di lava, caverne create in rocce laviche dall’attività vulcanica, che permetterebbero agli astronauti di costruire habitat nel sottosuolo in condizioni ben più protette rispetto alla superficie.

A quanto pare, sistemi robotizzati sono stati in grado di costruire un campo base sulla superficie ma non sono stati in grado di mappare l’area per trovare subito tunnel di lava, possibilmente anche prima dell’atterraggio della Daedalus. Ciò significa che, già in una condizione di emergenza, gli astronauti devono rapidamente trovare un tunnel di lava per costruirvi quello che sarà un habitat per loro e per i prossimi umani che arriveranno nei prossimi anni. Anche qui la programmazione non sembra essere stata effettuata in maniera molto competente.

Il peggio arriva però nel quinto episodio, in cui la parte fantascientifica è ambientata nel 2037. Il tema delle possibili reazioni psicologiche negative di un essere umano così lontano dalla Terra viene trattato mostrando i problemi dell’agronomo Paul Richardson, che sta sviluppando piante in grado di prosperare su Marte nella serra dell’habitat umano.

L’elemento assurdo è che la serra ha una porta che si apre direttamente verso l’esterno dell’habitat. Qui non si parla di semplice incompetenza ma di negligenza criminale perché già in condizioni normali una situazione del genere sarebbe pericolosissima, tanto più perché la serra non è isolata ma collegata a una parte dell’habitat. Quando Paul Richardson va totalmente fuori di testa e apre quella porta succede un disastro. Un’assurdità totale al solo scopo di creare un momento drammatico.

Questi sono solo i buchi narrativi peggiori ma ce ne sono altri ed è un vero peccato perché “Marte” aveva davvero un potenziale notevole per creare una storia di fantascienza realistica. Il colpo di scena finale è più credibile di tutto il resto della storia e dimostra che c’era spazio per una storia con sense-of-wonder senza assurdità.

Complessivamente, “Marte” mi sembra un’occasione sprecata a causa di una sceneggiatura spesso davvero mediocre della parte fantascientifica compensato solo in parte da un’interessante parte documentaristica. È stata concepita come miniserie perciò non ha bisogno di seguiti ma se National Geographic volesse continuarla spero che venga pensata meglio.

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